Ping Magazine Cover Number 0

"Unknown"

Sulla schiena gli era spuntata una strana efflorescenza, avvertibile al tatto. Si trovava giusto a metà, o pressappoco a metà, in corrispondenza della quindicesima e della sedicesima vertebra dall’alto. Gli piaceva rimirarsela, e cercare di capire che cosa fosse. Tuttavia, la prima volta che si guardò allo specchio davanti a un altro specchio, unico modo per godere di questa nuova soddisfazione, si accorse che non si trattava di nulla di propriamente vegetale. No, aveva decisamente un aspetto animale, o al massimo fungino, eccettuata l’evidente motilità. Era infatti bruna e carnosa, e ricoperta di una folta peluria, come un neo gigantesco, ma con in più l’insolita protrusione centrale, visibile a malapena, che vibrava ogni due o tre secondi. La domande che si poneva con una certa insistenza erano relative al perché vibrasse, e soprattutto, al perché emettesse quel suono, sottile e ronzante, in risonanza con che cosa? Decise comunque che per il momento non ne avrebbe fatto parola con nessuno: la maggior parte delle persone l’avrebbero trovato noioso, non gli avrebbero creduto, anche qualora lui avesse deciso di mostrargliela, contravvenendo a tutte le leggi in materia. “In qualsiasi circostanza e al cospetto di chiunque – così recitava l’ordinamento più recente –, è assolutamente interdetto mostrare il proprio corpo scoperto, se non negli occhi e al massimo nella bocca, e solo quando è il momento di parlare”. Rimase così per mesi, verificando giorno dopo giorno come la macchia stesse pian piano allargandosi, conquistando prima il bacino, per formare una sorta di ciambella salvagente intorno ai fianchi, poi su e giù lungo le gambe e le braccia, finendo per lasciare intatti nel loro stato originario, roseo e chiaramente umano, soltanto i bordi degli occhi e della bocca. Lui non si preoccupò, neanche un po’: nella condizione in cui l’aveva ridotto il nuovo governo proibizionista, da ormai dieci anni a questa parte, non aveva più alcun interesse per la propria pelle nuda. Si abituò quindi a vibrare in continuazione, perché per ogni quattro o cinque centimetri della sua epidermide aveva ora uno stelo, che vibrava a sua volta, e non sapeva perché, e in fondo non gli interessava nemmeno più sapere perché. Intanto la sua vita proseguiva come sempre: lavorava da casa, usciva una sola volta alla settimana, per il consueto controllo medico (che poi era tutto tranne che una vera visita: veniva praticata a distanza, con tutta una serie di ineffabili macchinari), e si innamorava ogni volta, o quasi, di un passante, senza sapere nemmeno di che sesso fosse (il ‘quasi’ è d’obbligo, visto che, potendo contare soltanto sugli occhi e di tanto in tanto sulla bocca, non era mica facile provare attrazione per qualcuno). Fu solo quando la metamorfosi raggiunse il suo apice che si cominciò a parlarne. Fu allora che scoprì come la mutazione, mai così rapida nella storia dell’evoluzione delle specie, avesse riguardato tutti, ma proprio tutti, mettendoli nella condizione di sentire le vibrazioni degli altri. D’altronde erano passati appena pochi mesi e già le guerre avevano cominciato a scemare, l’inquinamento a diminuire, e l’amore a rinascere. E quando la scoperta fu finalmente di dominio pubblico, a nessuno venne più la voglia di indossare neanche un indumento, figuriamoci una tuta integrale, neanche con il freddo più acuto, per quanto nemmeno adesso sapessero di chi si innamoravano. Erano infatti tutti invariabilmente ricoperti di quella strana efflorescenza, che li rendeva sì tutti diversi (la disposizione degli steli era assolutamente irregolare per ognuno), ma tutti clamorosamente brutti, tutti incerti di chi si trovassero di fronte, e felici, felici di non sapere nulla degli altri, a parte se vibravano o no all’unisono con loro stessi.